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20 ottobre contro la guerra, il carovita e la precarietà. SCIOPERO GENERALE!

20 ottobre contro la guerra, il carovita e la precarietà. SCIOPERO GENERALE!

Le mobilitazioni locali e nazionali attivate dai sindacati di base e conflittuali negli ultimi anni contro la guerra, il carovita e la precarietà non si sono fermate. ADL Varese, Cub, S.i. Cobas, Usi-Cit, SGB rilanciano la protesta con lo sciopero generale del prossimo 20 ottobre e l’assemblea nazionale a Milano di domenica 8. L’alternanza dei governi non è stata in grado di attraversare la volontà di applicare soluzioni efficaci per uscire dalle condizioni di reddito non adeguato al costo della vita attuale in cui si trovano a vivere milioni di lavoratori e lavoratrici poveri, disoccupati e pensionati già duramente colpiti negli ultimi tre anni dagli effetti devastanti della pandemia da Covid 19.

Intanto prosegue senza sosta la mattanza della guerra in Ucraina e sono stati drammaticamente aumentati gli investimenti pubblici e privati nell’industria delle armi, elemento sempre più centrale delle presenti e future politiche economiche delle grandi potenze a livello globale.

Infatti nel mese di luglio, come se non bastasse l’aumento record delle spese militari nell’ultimo decennio, il parlamento europeo ha approvato anche il regolamento ASAP (Atto di Supporto Alla Produzione di munizioni) con il quale l’Unione Europea aumenterà i finanziamenti a 500 milioni per la produzione di proiettili e missili da inviare al governo di Kiev. Tale approvazione comprende anche la possibilità di dirottare a tal fine gli stessi fondi del PNRR che nelle enunciazioni sarebbero dovuti servire per contrastare l’impatto economico e sociale della pandemia.

Le conseguenze dell’economia di guerra sulle nostre condizioni di vita reali stanno diventando dunque sempre più tangibili e pesanti da sopportare soprattutto per l’effetto dell’inflazione sui salari più poveri, per i progressivi rincari su tutti i beni di prima necessità, per gli aumenti esponenziali delle bollette di luce, gas e acqua, di affitti, mutui, spese sanitarie e tanto altro.

Si contano a migliaia gli sfratti, gli sgomberi, i pignoramenti attivati e dal Ministero delle Infrastrutture di Matteo Salvini, che in teoria dovrebbe occuparsi di politiche abitative, non è previsto nessun aiuto per coloro in precarietà abitativa e morosità incolpevole, condizione in cui versano circa 900 mila nuclei familiari in povertà assoluta. Il Piano casa presentato da Lega e Forza Italia nel mese di febbraio 2023, nonostante l’imbroglio della propaganda autocelebrativa mediatica, non ha previsto di fatto alcun impegno per il ripristino del fondo sociale affitti nell’anno 2023, motivo per il quale Regioni e Comuni stanno attingendo a ciò che è rimasto del 2022, trasformando così la necessità sociale ed economica dell’abitare in un privilegio riservato ai meritevoli e, ancor peggio, in un problema di ordine pubblico.

Mentre in tutta Italia morde il carovita, il reddito individuale e familiare ha perso sempre di più il suo potere di acquisto e il taglio alle spese sociali diviene ancor più drastico quando aggiungiamo al paniere l’ambiente, la salute, l’istruzione, i trasporti, considerandoli beni di prima necessità, pertanto con un auspicabile accesso gratuito e universale garantito a tutte e tutti. Le catastrofi climatiche poi sono la dimostrazione che la salute dell’ambiente ci riguarda tanto quanto l’uguaglianza sociale ed economica, nonché la sicurezza e la salute sul posto di lavoro.

Le ragioni dello sciopero generale del 20 ottobre sono evidenziate nei punti della proclamazione unitaria dove sono denunciate le politiche del governo Meloni definite senza alcuna esagerazione “una vera e propria dichiarazione di guerra contro i ceti sociali meno garantiti”, per il sostegno incondizionato ai piani bellici, per la repressione degli scioperi e del conflitto sociale con misure apertamente reazionarie tra le quali l’abolizione del reddito di cittadinanza che condanna milioni di lavoratori e lavoratrici al ricatto di dover accettare condizioni di lavoro ultra-precarie e con salari da fame.    Inoltre, attraverso l’estensione dell’utilizzo dei voucher e la facilitazione dei contratti a termine ha incentivato ancora di più la precarietà e decine di contratti collettivi sono scaduti con milioni di lavoratori privi di qualsiasi tutela e con in tasca un salario falcidiato dall’aumento dei prezzi.

Tutto ciò sta accadendo senza una sostanziale opposizione né in parlamento né da parte dei vertici concertativi Cgil-Cisl-Uil e UGL i quali, al di là di qualche dichiarazione ad effetto mediatico e di qualche passeggiata rituale convocata nel prossimo autunno, si guardano bene dal lavorare a una nuova stagione di lotta dentro e fuori i posti di lavoro. Il ruolo dei sindacati concertativi è stato determinante per affermare un’architettura giuridica a uso e consumo delle parti padronali, ne è la prova la lunga fase di arretramento del pur imperfetto Statuto dei Lavoratori che ha portato anche alla cancellazione della scala mobile, la quale adeguava i salari e le pensioni al costo reale della vita.

Contro la nuova macelleria sociale attivata dall’attuale governo Meloni, le organizzazioni sindacali di base, sgomberando il campo dalle incertezze, rivendicano in concreto gli aumenti salariali generalizzati e pari all’inflazione, ma soprattutto la contrarietà alla guerra, alle spese militari, alla produzione e all’invio di armi. Fanno appello e invitano i comitati, le realtà sociali impegnate nelle lotte a partecipare all’assemblea di Milano e danno il loro sostegno alle iniziative contro il militarismo e la precarietà messe in campo nei nostri territori e a sostegno dei disoccupati. Da evidenziare nei punti della proclamazione l’urgenza dell’aumento generalizzato dei salari pari all’inflazione e alle spese sociali, la contrarietà all’abolizione del reddito di cittadinanza, per il lavoro stabile e sicuro o un salario garantito a tutti i disoccupati. È ribadita la volontà di fermare le stragi sul lavoro tornate alla cronaca mediatica per gli operai falcidiati mentre lavoravano sui binari del treno a Brandizzo, in modalità ad altissimo rischio, col traffico ferroviario aperto. Destano rabbia le parole di Matteo Salvini che sull’argomento ha volutamente imputato le cause della strage a un “errore umano” cioè un “errore di comunicazione”, anziché indicare le non applicate o non garantite condizioni di sicurezza sul posto di lavoro nelle ferrovie; anomalia già denunciata dai lavoratori nel mese di luglio 2023 quando furono precettati dalla Commissione di garanzia sciopero e dallo stesso Salvini che si dichiarava pure “orgoglioso” di aver limitato il loro diritto. E che dire delle sforbiciate attivate dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali guidato da Marina Elvira Calderone che, con il decreto 75/2023 del 18 maggio, ha tagliato anche il risarcimento alle famiglie delle vittime degli infortuni sul lavoro? Il ministero, per gli infortuni avvenuti nel 2023, fissa un risarcimento minimo di 4.000 euro a famiglia (contro i 6000 nel 2022) e uno massimo di 14.500 (contro i 22.400 del 2022).

Nella convinzione che la prossima manovra economica non potrà che confermare il carattere antisociale e guerrafondaio dell’attuale governo Meloni, – teso ancora una volta a colpire i lavoratori e i disoccupati allargando la maglia già ampia della disuguaglianza sociale ed economica al fine di tutelare e alimentare i già alti profitti del grande capitale e delle rendite, della finanza speculativa e delle lobbies belliciste – come Usi-Cit abbiamo rilanciato l’importanza dell’unitarietà intersindacale di base nell’attivare le giornate di lotta dal basso come la prossima assemblea dell’8 ottobre a Milano e dello sciopero generale del 20 ottobre. Parafrasando una frase calzante del comunicato redatto per lo sciopero: “Se non ora, quando?”

Norma Santi

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